Alle Origini Del Teatro

Viviamo giorni difficili, fuori dall’ordinario, che ci chiamano a riflettere, interrogarci…Sono giorni che vedono quasi tutte le attività ferme, le città deserte, un senso di morte, di smarrimento, di buio…I teatri chiusi, le sale prove e le sale in cui si insegna e si apprende la recitazione, chiuse…

Anni fa ho scritto un piccolo libro, in questi giorni mi è tornato alla mente il primo capitolo, e ho deciso di metterlo qui sul sito, una speranza di luce che voglio donare ai miei amati allievi, per ricordare loro quanto sia importante e prezioso e speciale il Teatro. Non solo a loro, a tutti, un piccolo dono, col cuore.

Coraggio, torneremo a abbracciarci, a sognare, e far sognare! Torneremo luminosi più che mai!

Pujadevi

ALLE ORIGINI DEL TEATRO

Come e perché nasce il teatro? Per tentare di capirlo, gli studiosi si sono dovuti basare essenzialmente su teorie, ipotesi e supposizioni. Ad oggi, nessuna delle teorie avanzate sulla genesi del teatro è effettivamente verificabile.

Una delle teorie più in auge sull’origine del teatro tende a individuarne le origini nell’ambito della sfera rituale. Questa ipotesi ha avuto fortuna a partire dalla fine dell’ottocento, quando gli antropologi incominciarono ad avvalorare questa possibilità. È possibile ricondurre la storia degli studi sull’argomento a tre fasi fondamentali.

Nel primo di questi tre momenti, sulla scorta delle teorie di James Frazer, si sostenne che lo studio delle società primitive ancora esistenti sarebbe in grado di fornire una testimonianza attendibile ed utile alla ricostruzione dell’origine del teatro, in quanto tutte le culture percorrerebbero i medesimi stati evolutivi. Secondo l’ipotesi avanzata dalla scuola di Frazer, l’uomo primitivo acquisirebbe infatti gradualmente la consapevolezza dell’esistenza di forze in grado di controllare le sue capacità di nutrirsi e sopravvivere; essendo però egli ancora non consapevole del meccanismo che regola i fenomeni naturali, è portato a credere che essi siano regolati da logiche soprannaturali, e tenta quindi di assicurarsene il favore con mezzi adeguati. Solo in seguito esso riesce a individuare un rapporto di apparente efficacia fra le azioni compiute e gli effetti conseguiti. La rielaborazione e la formalizzazione di queste azioni, da parte dell’intero gruppo sociale, cristallizzandosi, diventa rito. Questo necessita però di una concettualizzazione ermeneutica che avviene in una forma narrativa: il mito. Rito e mito appaiono dunque strettamente interconnessi e reciprocamente funzionali sul piano dell’efficacia simbolica. Ma il mito comporta anche la celebrazione di forze sovrannaturali che vengono personalizzate e, quindi, interpretate: è proprio allora, sviluppando una forma drammatica, che il rito sconfina nelle prime forme embrionali di teatro.

In questa teoria, all’evolversi di una consapevolezza maggiore corrisponde un variare della percezione del soprannaturale, per cui alcuni riti si trasformano o addirittura cessano di esistere; diversamente, i racconti mitici possono invece permanere come patrimonio del gruppo, in prima istanza in forma orale, ma anche come dramma: è questo il momento in cui avviene la separazione dal mero valore rituale e la drammatizzazione inizia ad avere vita propria, specializzandosi e assurgendo ad una diversa connotazione, in cui il piano estetico diventa sufficiente a giustificare l’esistenza svincolata dalla dimensione religiosa.

Diciamo che, in breve, questa è la visione sviluppata da Frazer sul come il teatro si sarebbe sviluppato dal rito: in essa, tra l’altro, la teoria evoluzionistica di Darwin si trasferisce dal campo biologico all’ambito culturale, sostenendo che tutte le culture presenti nelle differenti società attraversano uno schema comune, cioè passano attraverso una progressiva evoluzione, da forme più semplici a forme più complesse e strutturate.

A metà degli anni Dieci, la scuola antropologica guidata da Malinowski cercò invece, differenziandosi dal metodo deduttivo di Frazer, di approfondire i metodi di funzionamento peculiari a ogni specifico gruppo sociale.

I “funzionalisti”, questo appunto il nome di questa scuola di pensiero, partono dal presupposto che ogni cultura rappresenta un fenomeno caratterizzato e individualizzato. Pertanto non è possibile attenersi al comportamento dei gruppi primitivi ancora esistenti per spiegare l’origine di determinate istituzioni dell’antichità. Per i funzionalisti, infatti, le istituzioni culturali nascono e si sviluppano secondo processi differenti per ogni società.

Alla fine della seconda guerra mondiale, Lévi-Strauss fonda un’altra corrente di pensiero, lo “strutturalismo”, che pone l’attenzione non tanto sulla storia, quando sull’analisi della struttura del mito primitivo. Per Lévi-Strauss la vera funzione del rito è quella di classificare e organizzare la realtà, cosicché per uno studioso l’analisi di uno specifico mito prodotto da una società è fondamentale per conoscere il pensiero profondo di quella società. Alcuni sostenitori di Lévi-Strauss hanno sviluppato il suo metodo e lo hanno applicato sia alla ricerca sulle origini del teatro che allo studio del dramma moderno e della messa in scena, al fine di individuare una serie di strutture costanti archetipiche che consentano, una volta individuate, la catalogazione ed il confronto di ogni specifico prodotto culturale. Ad ogni modo oggi anche lo strutturalismo è soggetto a critiche ed è ovvio che sempre si presenteranno nuove teorie per spiegare l’origine del teatro.

È però interessante osservare che tutte le teorie concordano su due punti: il rito e il mito appaiono fondamentali in ogni tipo di società; il teatro nascerebbe dal rito.

A questo punto è utile cercare brevemente di capire quali sono le funzioni alle quali il rito assolvesse nelle società primitive.

Innanzi tutto il rito ha una funzione didattica, in quanto, nell’assenza di una lingua scritta, il rito diventa una forma di trasmissione di tradizioni e conoscenze.

Il rito rappresenta, insieme al mito, una forma di conoscenza, un modo efficace per comprendere, da parte di una società, il funzionamento dell’universo, il tentativo di definizione della condizione umana e della sua relazione con il mondo circostante.

Il rito ha il potere di influenzare o dominare gli avvenimenti esterni, si pensi a celebrazioni rituali per propiziare la vittoria di una battaglia, l’arrivo della pioggia, la fertilità della terra.

Cosi, conseguentemente, il rito celebra una potenza soprannaturale, una vittoria in una battuta di caccia, il passato e le tradizioni di una società o un eroe, un totem, con cui la comunità crede di avere una relazione essenziale.

Infine, il rito diverte e procura piacere.

Campbell, storico delle religioni, sostiene che la maggior parte dei riti è riconducibile a temi ben precisi: il piacere (cibo, casa, sesso e famiglia); il potere (la necessità di conquistare, di consumare, di rendere più forti se stessi e la propria tribù); il dovere (verso le divinità, la tribù, le convenzioni e le tradizioni).

Tutti questi elementi garantiscono infatti la prosperità in termini di cibo e di eredi, il potere sui nemici, e la gestione della vita sociale dell’individuo.

Il rito e il teatro sembrano dunque assolvere alla medesima funzione sociale.

Da una parte esprimono il bisogno di dare ordine e forma alle proprie idee e relazioni con il mondo esterno, dall’altra rappresentano gli strumenti attraverso i quali l’uomo cerca di superare il suo rapporto conflittuale con una realtà spesso percepita come estranea e soprattutto ingovernabile, nella ricerca di un equilibrio e soprattutto di un modo gratificante per essere al mondo.

In questo senso il teatro attraverso le molteplici forme che ha prodotto nei secoli, è una testimonianza preziosa per la comprensione dei diversi momenti culturali e rimane una delle chiavi di lettura fondamentali per capire la visione del mondo in un determinato periodo storico.

 Mi viene in mente Julian Beck, quando afferma: “Il teatro fa paura perché ha a che fare con i misteri e le domande misteriose. Per secoli il teatro si è chiesto: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?

Il teatro a mio avviso risponde a un bisogno primitivo che l’uomo ha di mettere in scena sé stesso, di rappresentarsi, di raccontarsi, di farsi osservare da un pubblico per trovare insieme delle risposte a dei comportamenti, a delle tragedie, a dei desideri che appartengono alla vita, al vivere stesso.

Credo che il teatro, come la religione, risponda a un bisogno profondo dell’uomo di rappresentare, proprio nel tentativo di comprenderla e di spiegarla, quella che è la vita, con le sue mille contraddizioni, con le sue gioie, i suoi dolori; è una sorta di rituale pagano: un teatro è un posto dove accade qualcosa, davvero, grazie alla presenza fisica degli attori, dove si svolge una sorta di liturgia codificata, dove è possibile dimenticare la propria vita per osservarne un’altra, dove è possibile incontrare delle idee, delle immagini, la bellezza…

Fare teatro offre, a chi lo fa, la possibilità di avventurarsi in mondi misteriosi, arcani, archetipici. Puoi giocare ad essere buono, cattivo, vivere una vita che non è la tua, provare a essere vecchio, a tornare bambino, puoi uccidere, essere ucciso e poi, come in un sogno, come un miraggio, tutto svanisce, eppure tu hai vissuto quel sogno. Il teatro è eminentemente māyā, illusione.

 Personalmente ho sempre sentito, tutte le volte che sono salita sul palcoscenico, che stava per accadere “qualcosa”, un qualcosa di speciale, di rivoluzionario, di irripetibile che sarebbe avvenuto nel corso dello spettacolo, qualcosa che avrebbe mutato in me per sempre delle certezze, che mi avrebbe sbattuta di fronte al tremendum, al magnifico, alla dannazione, alla possibilità di salvezza.

Penso agli attimi precedenti all’apertura del sipario, al rumore incredibile del sipario che si apre, a quella tenda in velluto color granata che ha il potere di separare, elevare il palcoscenico dalla vita ordinaria. Penso all’onda di energia che arriva sul palcoscenico dalla platea, dal pubblico, alla sensazione di unità, con i tuoi compagni, con il pubblico, con il drammaturgo, con il regista, con il cosmo.

Le parole pronunciate in scena, le azioni compiute possono acquistare un valore immenso, commuovere, elevare, sollevare dal dolore, rimuovere il dolore, allietare, scatenare la risata, la gioia, perché no? intrattenere, far dimenticare per due ore la vita ordinaria con tutto il suo carico di gioia e di sofferenza.

Non è un rito questo, per chi lo fa, per chi ne fruisce?

Un rito che assume significati differenti a seconda dei periodi e delle società.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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